Uno dei temi più dibattuti nell’ambito della responsabilità degli amministratori di società di capitali è quello della responsabilità degli amministratori privi di deleghe (amministratori non delegati).
• Quali sono i confini fra responsabilità dei deleganti e dei delegati, sia dal punto di vista civile che dal punto di vista penale?
Lo Studio della Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti (documento del 30 novembre 2016) analizza i principali punti di riferimento della disciplina applicabile agli amministratori non delegati e ai sindaci nella normativa vigente post d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.
Nel sistema tradizionale di amministrazione e controllo delle s.p.a. con presenza di organo amministrativo pluripersonale (consiglio di amministrazione) e organo di controllo interno (collegio sindacale), l’istituto della delega di potere gestorio, estremamente diffuso, consente al consiglio di amministrazione di affidare l’esercizio di determinate proprie competenze a uno o più membri del consiglio stesso.
L’applicazione dell’istituto delle deleghe di potere determina, all’interno del consiglio di amministrazione, la distinzione fra amministratori delegati e amministratori non esecutivi, dove i secondi hanno una funzione essenzialmente valutativa, di monitoraggio e di supervisione dell’operato e sui processi decisionali dei primi.
• Cosa comporta il sistema delle deleghe?
Il sistema delle deleghe: (i) determina un’attenuazione del principio di collegialità; (ii) comporta un efficientamento e snellimento delle modalità di operare dell’organo gestorio; (iii) permette una specializzazione delle funzioni amministrative nell’ambito del consiglio; e (iv) garantisce un sistema di controllo sulla gestione degli amministratori delegati da parte degli amministratori non esecutivi e del collegio sindacale.
Pertanto, è fondamentale individuare doveri e oneri gravanti su ciascuno degli organi coinvolti, tracciando la sfera di relative competenze e responsabilità che ne derivano. In merito, un interessante riferimento è costituito dalla sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. V, 24 maggio 2016, n. 21702, che si è pronunciata con riferimento ai fatti di bancarotta fraudolenta di cui all’articolo 223, comma 2, Legge Fallimentare. La sentenza ha ravvisato la responsabilità degli amministratori non delegati in quanto con la loro condotta omissiva hanno provocato con dolo il fallimento della società.
Tali amministratori vengono definiti come garanti della società con un conseguente obbligo giuridico di intervenire per impedire l’evento dannoso. Più specificamente, si prendono in considerazione: (i) l’articolo 2381, comma 6, c.c. che impone agli amministratori l’obbligo di agire informati; (ii) gli articoli 2403 e 2403 bis, c.c. che prevedono i doveri propri della funzione di vigilanza del collegio sindacale; (iii) l’articolo 2392, comma 2, c.c. che prevede il dovere d’intervento gravante sugli amministratori non esecutivi, finalizzato a evitare atti pregiudizievoli degli amministratori delegati.
In sintesi, è possibile tracciare come segue le funzioni attribuite ad amministratori delegati, amministratori non esecutivi e sindaci:
➢ amministratori delegati: gestiscono l’impresa, curano l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, sono obbligati a fornire le informazioni richieste dai non delegati e hanno il dovere di mantenere un flusso costante di informazioni relative al generale andamento della gestione, alla sua evoluzione, alle operazioni di maggior rilievo della società e delle controllate, nei confronti sia del consiglio di amministrazione che del collegio sindacale (articolo 2381, comma 5, c.c.);
➢ consiglio di amministrazione: valuta l’adeguatezza degli assetti, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società, valuta l’andamento della gestione in base alle relazioni degli organi delegati e svolge un controllo di merito sull’andamento della gestione svolta dagli esecutivi;
➢ collegio sindacale: esercita un controllo di legittimità sugli atti di gestione e sui comportamenti realizzati nello svolgimento dell’attività d’impresa, vigila sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta gestione e in particolare sull’adeguatezza degli assetti sociali e sul loro concreto funzionamento (articolo 2403, comma 1, c.c.).
• Dunque, quali sono i doveri di controllo e responsabilità degli amministratori non delegati?
Per comprendere poteri e responsabilità degli amministratori non delegati occorre proprio partire dalla lettura dell’articolo 2381, c.c. che regola gli aspetti fisiologici della delega, per poi completare il quadro con l’articolo 2392, c.c. che invece dispone circa gli aspetti patologici della delega, determinando i parametri su cui fondare la responsabilità degli amministratori.
La riforma introdotta dal d.lgs. 3/2013 ha avuto l’effetto di attenuare la responsabilità degli amministratori privi di deleghe in quanto ha sostituito il dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione, con l’obbligo di agire in modo informato (articolo 2381, comma 6, c.c.). Inoltre, la riforma ha definito l’obbligo di informazione del presidente e dei consiglieri delegati prevedendo un resoconto informativo in capo al primo (si ricorda che, in base all’articolo 2381, comma 1, c.c. il presidente deve provvedere affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all’ordine del giorno siano fornire ai consiglieri) e anche in capo ai secondi che devono fornire con periodicità stabilita adeguate notizie sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo (articolo 2381, comma 5, c.c.).
Il potere ispettivo è dunque strumentale a una consapevole partecipazione degli amministratori non delegati alla vita del consiglio, al fine di assumere le decisioni necessarie per preservare il corretto esercizio della funzione amministrativa.
Come sopraesposto, al consiglio di amministrazione compete sempre il dovere di agire informato in base all’articolo 2381, comma 6, c.c. Questa norma riconosce a ogni singolo consigliere il potere/dovere di informarsi su ciò che attiene alla gestione della società e l’azione del singolo consigliere si deve estrinsecare in sede di consiglio mediante la partecipazione alle delibere.
Quindi il delegato una volta ricevuta la richiesta di informazioni anche dal singolo consigliere sarà tenuto a rispondere e riferire in sede di consiglio essendo qui il luogo unico legittimato alla raccolta informativa richiesta. Se poi le informazioni e i chiarimenti forniti dal delegato apparissero illogici o immotivati o insufficienti o influenzati da conflitto di interesse sarà doveroso per gli amministratori non delegati richiedere al consiglio nella sua interezza un’indagine o un’attività di accertamento, se vi è motivo di ritenere che vi siano rischi per l’interesse sociale.
Il consiglio di amministrazione, pur avendo conferito deleghe di funzione agli amministratori esecutivi, rimane il titolare del potere di gestione, in quanto organo sempre sovraordinato rispetto agli amministratori delegati.
Qualora dall’esame delle scritture contabili e dei relativi documenti, sorgessero dubbi sulla correttezza dell’operato dell’amministratore delegato sia in termini di convenienza che in termini di legittimità, il consigliere non operativo potrà invitarlo a riferire al consiglio affinché in questa sede qualsiasi perplessità sia correttamente esaminata e valutata in una dialettica con lo stesso consigliere delegato.
• Quali sono gli strumenti a disposizione dei deleganti per assolvere all’obbligo di agire informato?
Secondo la tesi prevalente in dottrina e condivisa dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione penale, Sez. V, 19 giugno 2007, n. 23838), è escluso che gli amministratori non delegati possano singolarmente chiedere informazioni direttamente ai dirigenti e procedere con atti di ispezione e controllo presso le strutture aziendali, essendo questi poteri riservati al consiglio di amministrazione. Tuttavia, se un amministratore non esecutivo ha dubbi circa l’operato degli amministratori delegati potrà sempre rappresentarli al collegio sindacale il quale è investito di tutti i poteri di indagine necessari in base all’articolo 2403 bis, c.c.
L’obbligo informativo gravante sugli amministratori delegati previsto dall’articolo 2381, comma 5, c.c. è considerato strumentale all’adempimento delle funzioni proprie del consiglio di amministrazione, non potendo questo assolvere ai doveri cui è preposto se privo dei dati informativi necessari. Inoltre, un’appropriata assunzione di informazioni è condizione indispensabile per rendere efficaci le deliberazioni consigliari, per prevenire comportamenti non corretti e di conseguenza rappresenta uno strumento fondamentale per la ricostruzione delle responsabilità.
• Qual è la responsabilità civile degli amministratori senza deleghe?
La natura giuridica della responsabilità solidale degli amministratori verso la società è di tipo contrattuale e basata sulla colpa. Si tratta di una responsabilità che scaturisce essenzialmente dalla violazione del dovere generico di corretta amministrazione (c.d. colpa-negligenza), che si manifesta nel compimento di scelte gestorie palesemente irrazionali e contrarie alla normale diligenza (Cassazione 7 settembre 2016, n. 17689).
Si ritiene che in sede giurisdizionale la verifica del grado di diligenza con cui l’amministratore ha agito non può essere estesa sino a ricomprendere anche un sindacato di merito sull’opportunità delle scelte gestionali, essendo questo coperto dalla c.d. business judgment rule.
Pertanto, i presupposti fondamentali della responsabilità degli amministratori non delegati sono:
➢ la conoscenza (o la mera conoscibilità mediante la dovuta diligenza connessa alla carica ricoperta) dell’atto pregiudizievole in fase di commissione o successivamente. Tale aspetto è collegato al potere ispettivo e informativo dei consiglieri non delegati e la colpa è rilevante se il consigliere non delegato si sia astenuto dall’approfondire l’indagine relativamente a fatti a rischio già palesati;
➢ il dovere di intervento (si poteva/doveva agire e non è stato fatto);
➢ il danno subito dalla società;
➢ il nesso di causalità tra il danno stesso e quel comportamento.
Pertanto, i presupposti per la colpa dell’amministratore non esecutivo si identificano nell’inadeguata conoscenza dell’altrui illecita gestione, per non aver rilevato con la dovuta diligenza i segnali presuntivi della stessa e per non essersi utilmente attivato la fine di evitare l’evento dannoso (Cassazione 3 maggio 2016, n. 8730).
• Qual è, invece, la responsabilità penale degli amministratori non esecutivi per fatti di bancarotta fraudolenta?
L’articolo 223, comma 2, Legge Fallimentare punisce i soggetti della bancarotta impropria (fra cui amministratori e sindaci) che hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società (da intendersi in modo sostanziale come stato di dissesto che deve essere legato alla condotta dolosa del soggetto agente da un rapporto di causalità materiale). Il disegno criminoso non deve avere necessariamente come risultato ricercato il fallimento ma è sufficiente (a titolo di dolo eventuale) che si accetti la situazione di dissesto, pur di realizzare l’obiettivo illecitamente prefissato.
Quindi il soggetto agente deve porre in essere condotte di valenza negativa per il patrimonio sociale, che determinano il fallimento della persona giuridica. Le operazioni dolose devono essere il risultato dell’infedeltà alle funzioni o la violazione dei doveri discendenti dal rapporto con la società, portatori di danno per i creditori e realizzati per uno scopo estraneo agli interessi sociali.
Il consigliere non delegato ha un ruolo di garanzia con rilevanza anche penale, posto che l’obbligo di impedire l’evento, disciplinato quale tramite giuridico causale dall’articolo 40, comma 2, c.p. in base al quale «Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo», si parametra su una fonte normativa che costituisce il dovere di intervento ex articolo 2392, comma 2, c.c. la cui disposizione pertanto acquisisce funzione di integrazione del precetto penale.
Ai fini dell’affermazione della responsabilità penale degli amministratori senza delega e dei sindaci è necessaria la prova che gli stessi siano stati debitamente informati o vi fosse la presenza di segnali peculiari in relazione all’illecito (Cassazione 18 novembre 2014, n. 47621).
Ai fini della responsabilità penale dei non delegati è però necessario l’elemento del dolo (quindi della volontarietà) onde evitare di sovrapporlo alla responsabilità di natura colposa, rilevabile solo in sede civile.
Pertanto, la responsabilità penale dell’amministratore non delegato si fonda su due profili:
➢ conoscenza del probabile evento pregiudizievole nella sua portata illecita;
➢ obbligo giuridico gravante sul soggetto garante di scongiurare l’evento pregiudizievole (articolo 2392, comma 2, c.c.).
Affinché l’amministratore non delegato possa divenire penalmente responsabile, è necessario che il verificarsi del dissesto sia prevedibile come effetto della condotta non diligente dei delegati e che l’amministratore non esecutivo sia rimasto inerte in modo deliberato, accettando il rischio che l’organismo che amministra possa subire una perdita patrimoniale.
Per rimanere esente da responsabilità si impongono all’amministratore non esecutivo gli obblighi di:
➢ attivare le necessarie fonti conoscitive richieste dall’ordinamento;
➢ adottare tutte le iniziative rientranti nelle attribuzioni degli stessi, volte a impedire gli eventi medesimi, in ciò concretizzandosi l’obbligo di agire informati ex articolo 2381, comma 6, c.c.
Infine, la Corte di Cassazione ha precisato che, se da una parte si può verificare il caso per cui l’amministratore non delegato rimanga indifferente di fronte a un segnale di allarme in quanto decida di non tenere in considerazione l’interesse della società, diverso è che l’amministratore continui a riconoscere fiducia, per quanto mal riposta, verso le capacità gestionali di altri ovvero che per colpevole (ma non dolosa) superficialità venga meno agli obblighi di controllo accontentandosi di informazioni carenti e limitate (Cassazione Penale, 28 maggio 2013, n. 23000).
Solo nel primo caso l’amministratore sarà chiamato a rispondere penalmente della propria condotta, nel secondo caso si può ravvisare una responsabilità sul piano civile, a seguito di una condotta colposa per aver ritenuto che le capacità manageriali degli amministratori esecutivi avrebbero impedito il verificarsi di un pur previsto evento.
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